Giovedì 4 aprile il Parlamento europeo ha approvato con 550 voti a favore (34 contrari e 25 astensioni) la nuova direttiva su open data e informazioni nel settore pubblico.
La direttiva aggiorna le regole sul ri-uso delle informazioni detenute dagli enti pubblici degli Stati membri e presenti nei documenti conservati dalle imprese pubbliche che erogano servizi come i trasporti o l’approvvigionamento idrico/energetico.
La nuova direttiva riguarda anche i dati raccolti attraverso la ricerca finanziata con fondi pubblici, stabilendo che le spese relative alla raccolta di informazioni nel settore pubblico debbano essere in linea di principio limitate ai costi marginali relativi alla raccolta iniziale dei documenti.
Inoltre, la direttiva individua come prioritaria l’identificazione e la condivisione di set di dati di “valore elevato”, esplicitando come essi debbano poi essere resi disponibili per il libero riutilizzo via API.
L’obiettivo principale di questa nuova direttiva è promuovere l’utilizzo di open data e stimolare l’innovazione di prodotti e servizi nel Mercato unico digitale in Europa, stimolando gli Stati membri a favorire sempre più il riuso delle informazioni del settore pubblico rendendole disponibili secondo il principio dell’open by design and by default, ossia come raccolte di dati aperti e liberamente riutilizzabili, fin dalle fasi di progettazione.
Communia, associazione non profit che si occupa di advocacy verso le istituzioni europee su temi legati al pubblico dominio e alla conoscenza libera e che da anni segue il processo di aggiornamento della direttiva, ha pubblicato sul suo blog un commento sui punti fondamentali della Direttiva, evidenziandone i principali aspetti positivi e negativi. Qui di seguito ne trovate una traduzione.
Articolo 8: Licenze standard
L’articolo 8 afferma che: “Gli Stati membri devono individuare licenze standard che consentano il libero riuso dei documenti nel settore pubblico. Le licenze devono essere adatte a rispondere alle diverse tipologie di applicazione, disponibili in formato digitale e devono poter essere processate elettronicamente. Gli Stati membri devono incoraggiare l’uso di licenze standard.”
La licenza standard, come viene definita nell’articolo 2, deve rispondere a “una serie di condizioni predefinite di riutilizzo in formato digitale ed essere preferibilmente compatibile con le principali licenze libere disponibili online”.
L’indicazione sull’uso di licenze libere standard è un passo verso la giusta direzione. La direttiva afferma che: “Le licenze sulle informazioni del settore pubblico dovrebbero in ogni caso porre il minor numero di restrizioni possibile al riutilizzo, ad esempio limitandosi all’obbligo di indicare la fonte”.
È un bene che la Commissione europea continui a favorire l’adozione di licenze libere standard per stimolare la diffusione di open data e il riutilizzo delle informazioni pubbliche (come essa stessa ha fatto con l’aggiornamento delle politiche di condivisione dei suoi documenti): se non c’è chiarezza sulle licenze che gli Stati membri possono adottare per condividere le informazioni, si può facilmente creare confusione o ancor peggio possono sorgere problemi di interoperabilità
Le Linee guida del 2014 della Commissione europea rappresentano una buona base di partenza per gli Stati membri, poiché raccomandano l’utilizzo delle licenze libere Creative Commons 4.0 o CC0 per la condivisione delle informazioni del settore pubblico.
Communia esorta dunque la Commissione a codificare le linee guida del 2014, assicurarsi che gli enti del settore pubblico condividano anche i loro metadati con licenze aperte e verificare che i portali di open data siano accurati e riflettano le stesse opzioni di licenza.
La versione aggiornata della direttiva sulle informazioni del settore pubblico si avvicina a questo ideale, ma sarà compito degli Stati membri implementare dei requisiti di licenza libera standardizzati e permissivi.
Articolo 9: Adempimenti pratici
L’articolo 9 riguarda gli aspetti pratici relativi allo sviluppo di strumenti e portali online che semplifichino il reperimento e il riutilizzo di informazioni del settore pubblico da parte degli utenti.
In particolare, è importante che gli strumenti di ricerca e i portali indichino correttamente le licenze dei loro dataset e documenti, per abilitare gli utenti a reperire e riutilizzare correttamente le risorse.
Purtroppo al momento su https://www.europeandataportal.eu/ sono presenti circa 50 opzioni di licenza, comprese licenze non standard e licenze aperte indicate in modo non corretto.
Sarà importante dunque per gli Stati membri e i portali europei assicurare una corretta implementazione delle licenze aperte standard e garantire una formazione adeguata sia a chi gestisce le informazioni del settore pubblico che agli utenti.
Articolo 10: Ricerca dei dati
L’articolo 10 esplicita come i dati raccolti con ricerche finanziate da fondi pubblici siano stati inclusi nella nuova direttiva. La norma in particolare obbliga gli Stati membri ad “accrescere la disponibilità di open data attraverso l’adozione di politiche nazionali e azioni mirate a rendere liberamente accessibili i dati ottenuti dalla ricerca finanziata con fondi pubblici secondo il principio dell’open by default e i principi FAIR (Findable, Accessible, Interoperable, Reusable)”.
Questa è un’estensione della direttiva molto positiva che – insieme ad altre politiche europee che promuovono l’accesso libero alla ricerca – potrebbe assicurare un più ampio riuso dei dati raccolti.
Se la disposizione va in un certo senso nella giusta direzione, introducendo importanti eccezioni che vanno a tutelare la protezione e la sicurezza dei dati personali, altre considerazioni – come quelle sui diritti di proprietà intellettuale, sulle attività di trasferimento della conoscenza e sui legittimi interessi commerciali – impediranno sicuramente che alcune informazioni del settore pubblico siano condivise con licenza aperta.
Come spiegato da Communia a TechDirt, la direttiva potrebbe consentire alle aziende e ai docenti universitari di invocare il principio di “confidenzialità” e i “legittimi interessi commerciali”, impedendo così la condivisione dei dati con licenza aperta. Questa è una grande scappatoia che potrebbe essere facilmente abusata dalle organizzazioni per accumulare dati e non redistribuirli.
Articolo 12: Accordi esclusivi
L’aggiornamento del 2013 della direttiva sulle informazioni del settore pubblico riguardava anche i musei, gli archivi e le biblioteche (comprese le biblioteche universitarie) e c’è chi sostiene che il testo del 2019 concorra a “limitare la conclusione di accordi che potrebbero portare al riutilizzo esclusivo di dati del settore pubblico da parte di partner privati”.
Tuttavia le disposizioni sugli accordi esclusivi contenute nella direttiva – in particolare quelle che riguardano le istituzioni culturali e le società private con cui realizzano attività, come ad esempio le digitalizzazioni – non sembrano rispettare il principio guida di “favorire nel modo più ampio la condivisione e il riutilizzo nel settore pubblico”.
L’articolo 12 stabilisce infatti che “quando un diritto esclusivo si riferisce alla digitalizzazione delle risorse culturali, il periodo di esclusività non deve in generale superare i dieci anni”. Apparentemente questa speciale restrizione “potrebbe essere necessaria per dare al partner privato la possibilità di ammortizzare il suo investimento”.
Il testo afferma inoltre che questa finestra di esclusività debba essere “il più breve possibile, in modo da rispettare il principio secondo il quale il materiale in pubblico dominio deve rimanere nel pubblico dominio una volta digitalizzato”.
Ciò è davvero un insulto al concetto di servizio pubblico e bene comune!
Le organizzazioni private coinvolte nell’opera di digitalizzazione non possano controllare l’accesso alle risorse prodotte per dieci anni (o anche di più) e potenzialmente mantenere sotto il controllo privato opere digitalizzate che dovrebbero fin da subito essere nel pubblico dominio.
Coda: Direttiva sulle banche di dati
Un importante chiarimento che la direttiva introduce sta nella parte in cui si specifica che, laddove i database ricadano nel raggio d’azione della direttiva su open data e informazione nel settore pubblico, l’ente responsabile non può appellarsi alla direttiva sulle banche di dati per evitare di condividere le informazioni con licenza libera o restringere il riutilizzo di documenti.
Si tratta una modifica importante che era da tempo attesa.
La nuova versione della direttiva su open data e informazione nel settore pubblico fa alcuni importanti passi avanti per favorire la condivisione e la diffusione di dati aperti nel settore pubblico.
Ma come al solito, “il diavolo si nasconde nei dettagli” perché presto il testimone passerà agli Stati membri, che dovranno lavorare al recepimento della direttiva nella normativa nazionale.
Ci auguriamo che lo faranno preoccupandosi di assicurare il più ampio riutilizzo possibile dei dati, favorendo l’adozione di licenze libere standard, costruendo archivi e portali che rendano facile per gli utenti trovare e riutilizzare le informazione del settore pubblico e limitando l’uso di espedienti da parte di entità private che vogliono aggirare le regole e tenere “sotto chiave” i dati del settore pubblico o ottenuti attraverso finanziamenti pubblici.
Nell’immagine: I server di Wikimedia Foundation nel 2015. Di Victor Grigas/Wikimedia Foundation, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons