L’uomo vitruviano: un rompicapo per il pubblico dominio

A Torino gli studenti imparano a mappare a scuola
1 Marzo 2023
Nuove voci sulle donne su Wikipedia
8 Marzo 2023
Show all

L’uomo vitruviano: un rompicapo per il pubblico dominio

Venerdì 24 febbraio 2023 il Tribunale di Venezia ha emesso un’ordinanza secondo cui Ravensburger, una casa di produzione di giochi tedesca, dovrà pagare alle Gallerie dell’Accademia di Venezia una somma di denaro per aver riprodotto su un proprio puzzle l’immagine dell’Uomo Vitruviano di Leonardo Da Vinci. Essendo Da Vinci morto da più di settant’anni, le sue opere appartengono al pubblico dominio e, anche tra gli addetti ai lavori, non tutti concordano su questo approccio alla gestione delle opere su cui i diritti d’autore sono scaduti.

Pubblichiamo di seguito un contributo di Deborah De Angelis e Brigitte Vézina, rispettivamente rappresentante di Creative Commons Italia e direttrice dell’area Policy and Open Culture di Creative Commons. L’articolo è stato pubblicato con il titolo originale The Vitruvian Man: A Puzzling Case for the Public Domain sul sito di Communia.


È di venerdì scorso la notizia dell’ordinanza del tribunale di primo grado di Venezia su un giudizio cautelare notificato dalle Gallerie dell’Accademia di Venezia, museo pubblico del Ministero dei Beni Culturali. La posta in gioco: un puzzle Ravensburger raffigurante il famoso disegno dell’Uomo Vitruviano del 1490, opera del genio del Rinascimento italiano Leonardo da Vinci.

I convenuti sono le aziende tedesche produttrici di giocattoli di fama mondiale Ravensburger AG, Ravensburger Verlag GMBH e la loro sede italiana rappresentata da Ravensburger S.r.l.. Sono stati citati in giudizio per aver utilizzato l’immagine del famosissimo disegno in pubblico dominio per produrre e vendere un puzzle senza l’autorizzazione o il pagamento di un compenso alle Gallerie dell’Accademia di Venezia, dove l’opera fisica è conservata.

Una domanda sconcertante

Soffermiamoci su questo punto. Autorizzazione, tariffa, opera in dominio pubblico… I conti non tornano. Il pubblico dominio è costituito da opere che non sono protette dal diritto d’autore, liberamente utilizzabili da chiunque per qualsiasi scopo. Il pubblico dominio è fonte inesauribile di opere creative che ispira tutti noi e da cui dipende tutta la creatività. La tutela del pubblico dominio è infatti così importante che nel 2019 il legislatore europeo ha reso esplicito all’articolo 14 della Direttiva Europea sul Diritto d’Autore nel Mercato Unico Digitale (CDSM) che le riproduzioni non originali di opere appartenenti al pubblico dominio devono rimanere in pubblico dominio: nessuna protezione del diritto d’autore deriva dal semplice atto di riproduzione di opere in pubblico dominio, ad es. attraverso la digitalizzazione.

Allora, come mai le Gallerie dell’Accademia hanno potuto impedire a Ravensburger di utilizzare un’immagine dell’Uomo Vitruviano di pubblico dominio sui suoi puzzle? Come mai il tribunale:

  • ha inibito ai convenuti di utilizzare a fini commerciali l’immagine dell’opera “Uomo Vitruviano” di Leonardo da Vinci e il suo nome, in qualsiasi forma e qualsiasi prodotto e/o strumento, anche digitale, sui propri siti e su tutti gli altri siti e social network sotto il loro controllo;
  • ha condannato i convenuti al pagamento alle Gallerie dell’Accademia di Venezia di una penale di 1.500 euro per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione dell’ordinanza cautelare;
  • ha disposto la pubblicazione dell’ordinanza in estratti e/o sintesi del suo contenuto da parte delle Gallerie dell’Accademia e a spese dei convenuti su due quotidiani nazionali e su due quotidiani locali?

La risposta: il Codice dei Beni Culturali italiano

La risposta risiede in un particolare atto legislativo italiano: il Codice dei Beni Culturali italiano (D.Lgs. 42/2014). Secondo il Codice dei Beni Culturali e la giurisprudenza in materia, le riproduzioni digitali fedeli di opere del patrimonio culturale, comprese le opere in pubblico dominio, possono essere utilizzate a fini commerciali solo dietro il rilascio di un’autorizzazione e il pagamento di un canone. È importante sottolineare che la decisione di richiedere l’autorizzazione e richiedere il pagamento è rimessa alla discrezionalità di ciascun istituto culturale (cfr. articoli 107 e 108). In pratica, ciò significa che gli istituti culturali hanno la facoltà di consentire agli utenti di riprodurre e riutilizzare gratuitamente riproduzioni digitali fedeli di opere di pubblico dominio, anche per usi commerciali. Questa flessibilità è fondamentale affinché le istituzioni sostengano l’open access al patrimonio culturale.

Incompatibilità con l’articolo 14 Direttiva 2019/790 (CDSM)

Comunque sia, il sistema “autorizzazione+tassa” del Codice dei Beni Culturali generalmente infligge un duro colpo al pubblico dominio in Italia, e cosa allarmante, oltre i confini nazionali — Creative Commons richiama l’attenzione su questo aspetto nella Global Open Culture Call to Action to Policymakers. È infatti del tutto in contrasto con la legislazione UE che tutela il pubblico dominio: l’art. 32, quater della legge italiana sul diritto d’autore (legge 22 aprile 1941, n. 633) contrasta palesemente con l’intento del legislatore europeo. Questo perché l’art. 32, quater recepisce l’art. 14 Direttiva 2019/790 ma ne limita l’efficacia all’applicazione del Codice dei beni culturali. Noi di Communia abbiamo validi motivi per ritenere che ciò sia incompatibile con la lettera e lo spirito dell’articolo 14.

Anche nei casi in cui la legislazione europea non abbia di per sé effetti o applicabilità diretti nell’ordinamento giuridico nazionale degli Stati membri, essa deve sempre rappresentare un indispensabile parametro guida  per i tribunali nazionali, che sono chiamati a interpretare il diritto nazionale alla luce della legislazione europea (ossia, un obbligo di interpretazione conforme). Inoltre, esiste un divieto generale per gli Stati membri di far prevalere una norma nazionale su una norma comunitaria contraria, senza distinguere tra diritto nazionale anteriore e posteriore.

Non è l’unico caso

Quello dell’Uomo Vitruviano purtroppo non è un caso isolato. Solo pochi mesi fa commentavamo quella che contrapponeva il Museo degli Uffizi a Jean Paul Gaultier, dove il convenuto, uno stilista francese, utilizzava le immagini di un altro capolavoro del Rinascimento, la Nascita della Venere di Botticelli. Questi casi sono destinati a lasciare dietro di sé un disastro: grande incertezza sull’uso del patrimonio culturale nell’intero mercato unico, creatività ostacolata, imprenditorialità europea soffocata, opportunità economiche ridotte e un dominio pubblico diminuito e impoverito. Per affrontare tali questioni, auspichiamo che la Corte di Giustizia Europea abbia presto occasione di chiarire che il pubblico dominio non deve essere limitato, a maggior ragione da norme al di fuori del diritto d’autore e dei diritti connessi, che compromettono la chiara volontà del legislatore europeo di tutelare il pubblico dominio.

È curioso notare che, anche se l’ordinanza cautelare dovrebbe essere eseguita con specifico riferimento al puzzle dell’Uomo Vitruviano, sul sito del convenuto si possono ancora acquistare puzzle che riproducono “La Gioconda” e “L’Ultima Cena” ” di Leonardo da Vinci; “Il bacio” di Hayez e “Il bacio” di Klimt e tanti altri monumenti, opere d’arte, immagini della natura e di animali.

Liberalizziamolo

L’azione legale è il modo giusto per affrontare la questione? I procedimenti giudiziari sono costosi e non cambieranno la realtà. Un approccio diverso (compatibile con una politica di accesso aperto e la protezione del pubblico dominio) che liberalizza la fedele riproduzione del patrimonio culturale in pubblico dominio sarebbe più favorevole al turismo, all’industria creativa e al beneficio della società civile in generale. Oltre ad essere un approccio compatibile con il principio sancito dall’art. 14 della Direttiva CDSM.

Deborah De Angelis, Brigitte Vézina

Immagine: Uomo Vitruviano (dettaglio), di Leonardo da Vinci, Pubblico dominio, attraverso Wikimedia Commons