Un’altra ordinanza sulle immagini del David: un’occasione persa?

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Un’altra ordinanza sulle immagini del David: un’occasione persa?

Nel maggio 2022 il tribunale di Firenze ha imposto agli Studi d’Arte Cave Michelangelo, con sede a Carrara, di cancellare dal proprio sito le immagini che ritraevano copie del famoso David di Michelangelo fatte dallo stesso laboratorio. Il motivo riportato dai giornali era che le riproduzioni dell’opera in pubblico dominio “sviliscono l’immagine del bene culturale”.

Simone Aliprandi, avvocato ed esperto di diritto della proprietà intellettuale e di diritto delle tecnologie digitali, ha analizzato le motivazioni dell’ordinanza e insieme al collega Carlo Piana ha pubblicato su Zenodo l’articolo “Tutela dei beni culturali e lo strano caso di Studi d’arte Cave Michelangelo”. Riportiamo di seguito un suo commento alla vicenda, che parte dalla domanda: questa ordinanza è un’occasione persa per l’Italia?


Lo abbiamo detto in varie occasioni e lo ribadiamo: la normativa italiana in materia di riproduzioni dei beni culturali è problematica; lo è sempre stata, ma ora che è arrivata la nuova direttiva UE sul copyright (dir. 2019/790) con il suo articolo 14 e il considerando 53 lo è ancora di più. 

Il volere del legislatore europeo sembra così lampante che sono molti a chiedersi come il legislatore italiano, nel recepire la direttiva con il d.lgs. 177/2021, abbia potuto mantenere invariate le norme del Codice Beni Culturali (cioè gli articoli 107 e 108) che istituiscono uno pseudo-copyright anche su opere che sono e sono sempre state in pubblico dominio. Eppure è andata così; e non sembra che in sede politica vi sia margine per un ulteriore dibattito su questo aspetto. Il legislatore italiano ha fatto il “compitino” assegnatogli dall’Unione Europea, limitandosi a ciò che era strettamente e letteralmente necessario, e sembra non volerci pensare più fino a nuovo ordine.

Non resta quindi che la strada giudiziale. Sarebbe infatti cosa buona poter sollevare il conflitto tra la normativa europea e quella nazionale di fronte a un giudice e confidare che lo stesso giudice decida di disapplicare la norma italiana in quanto gerarchicamente inferiore rispetto alla direttiva, creando così un importante precedente; oppure, ancora meglio, confidare che il giudice “congeli” la decisione e rimetta la questione alla Corte di Giustizia UE affinché si esprima sul potenziale conflitto tra norme. Ma per arrivare a quello scenario, c’è bisogno che si crei un contenzioso giudiziale; e come sappiamo non è cosa facile. Dal 2014 ad oggi le liti in materia di riproduzioni di beni culturali e di versamento dei relativi canoni che hanno portato all’iscrizione a ruolo di una causa si contano sulle dita di una mano; e solo una di queste è avvenuta dopo il decreto di recepimento della direttiva.

Si tratta del caso che vede opporsi il Ministero della Cultura e Studi d’arte Cave Michelangelo, azienda carrarese che realizza e commercializza copie in marmo di Carrara dei grandi classici della scultura. Non parliamo quindi di fotografie delle opere di Michelangelo, Canova, Bernini presenti nei musei; parliamo di copie fisiche in pregiatissimo marmo bianco fatte da scultori che si addestrano presso l’azienda stessa, copie che poi vengono fotografate per essere promosse sul sito dell’azienda e sui siti specialistici: in sostanza, immagini di copie.

Ebbene, il diritto dei beni culturali italiano arriva a coprire anche quel tipo di riproduzione e leggere l’ordinanza emessa ad aprile 2022 dal Tribunale di Firenze innesca una serie di riflessioni interessanti.

In particolare è curiosa (benché discutibile) l’interpretazione del giudice, il quale non si limita a parlare di un’assenza di autorizzazione e di un mancato versamento dei canoni, come avevano fatto i suoi predecessori negli altri casi simili; ma si spinge a parlare di un vero e proprio danno d’immagine all’opera d’arte. Si legge infatti nell’ordinanza:

“La volgarizzazione dell’opera d’arte e culturale e la riproduzione senza il preliminare vaglio ad opera delle autorità preposte con riferimento alla compatibilità tra l’uso e il valore culturale dell’opera, crea il pericolo di un danno irreversibile per tutti quegli usi che l’autorità preposta dovesse giudicare incompatibili, inibendoli. Infatti poiché il danno all’immagine dell’opera pubblica è un danno anche immateriale al bene culturale per il suo valore collettivo, già sopra richiamato e che di seguito si viene ad approfondire, tale valore subirebbe un irreversibile pregiudizio nelle more della definizione della causa di merito”.

A mio avviso però qualificare come “diritto d’immagine” il diritto dominicale (ossia il diritto del proprietario dell’opera) di cui agli articoli 107 e 108 del Codice dei Beni Culturali non fa altro che confermare che si tratti di un diritto connesso espressamente vietato dall’art. 14 della direttiva; e dunque espone quelle norme ancora più a una censura in sede europea.

Purtroppo l’ordinanza in questione è stata in un certo senso un’occasione persa perché, dalla lettura del provvedimento, pare che le parti non abbiano sollevato negli atti di causa la questione di incompatibilità tra le norme nazionali e la direttiva del 2019. Dunque, a meno che il processo prosegua con una fase di merito, dovremo attendere qualche altro “martire” chiamato a difendersi di fronte a un tribunale.

Ovviamente la vicenda è ben più complessa e richiede un certo livello di approfondimento per essere pienamente compresa. Non è questa la sede per riprendere tutto il discorso teorico/giuridico, per raccontare bene i fatti che hanno portato alla causa, per ricostruire il quadro normativo e per entrare nel dettaglio delle varie problematiche giuridiche emergenti. Però chi volesse approfondire e avere una visione completa può scaricare un recente articolo/commento che ho scritto a quattro mani con il collega Carlo Piana, proprio prendendo spunto dalla citata ordinanza contro Studi d’Arte Cave Michelangelo. L’articolo è disponibile sotto licenza CC BY a questo link.

Simone Aliprandi

Immagine: David (Michel-Ange), di Clément Bardot, CC BY-SA 4.0, attraverso Wikimedia Commons

Il contributo di Simone Aliprandi è pubblicato con licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)