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Wikimedia Commons: contenuti liberi…e in tre dimensioni

Lo ha annunciato pochi giorni fa Wikimedia Foundation con un articolo sul suo blog: da ora in avanti Wikimedia Commons potrà ospitare file multimediali in tre dimensioni.
Chiunque potrà caricare questa tipologia di file sulla piattaforma, utilizzando il formato .stl, tra i più utilizzati dalle stampanti 3D. Sarà quindi possibile visualizzare i dettagli di oggetti complessi ruotandoli in tutte le prospettive; ma non solo, i file condivisi potranno anche fungere come modello per stampe tridimensionali.
Il primo modello 3D caricato dalla Foundation raffigura il leone di Alat, la grande statua collocata all’entrata del museo di Palmira, distrutta nel 2015 dalle milizie dell’ISIS.
Questo primo caricamento ha un grande valore simbolico, sia come espressione delle potenzialità dell’innovazione introdotta per la tutela del nostro patrimonio culturale ma anche perché si tratta di uno dei modelli creati dal progetto #NEWPALMYRA, lanciato dall’attivista digitale e Wikimediano Bassel Khartabil, torturato e ucciso nel 2015 dai servizi segreti siriani.
Abbiamo chiesto a Saverio Giulio Malatesta, socio Wikimedia Italia e responsabile del laboratorio Archeo&Arte3D Lab Sapienza, di commentare per noi questa novità.


Siamo senza dubbio di fronte ad una innovazione importante, da tempo avvertita come necessaria da parte della comunità. Ora è possibile non solo fornire un ulteriore complemento delle informazioni contenute nelle pagine di Wikipedia, ma avere a disposizione una infrastruttura di dati aperti riutilizzabili in altri progetti Wikimedia, o anche al di fuori di essi, aprendo le porte a possibilità sinora inespresse.
Andiamo con ordine. Quella che è stata sviluppata è per l’esattezza una estensione 3D, che rende possibile la gestione di modelli tridimensionali per la piattaforma MediaWiki, base ad esempio di Wikipedia. Essendo MediaWiki un CMS (un sistema di gestione dei contenuti, come WordPress) liberamente scaricabile e personalizzabile da chiunque secondo le proprie esigenze, si tratta di una innovazione immediatamente disponibile per quanti utilizzano tale piattaforma per i propri progetti o siti.
Il primo livello di impatto, quindi, è quello con la comunità di utenti di MediaWiki, ora in grado di avere una possibilità in più per presentare le proprie idee o contenuti.
Parallelamente, la possibilità di caricare modelli 3D in Commons, il ciclopico contenitore di dati multimediali a servizio dei progetti Wikimedia e della piattaforma MediaWiki, consente un’immediata disponibilità dei medesimi in questa costellazione di supporti per la creazione di informazione. È questo un elemento a supporto della visibilità dei contenuti caricati in licenza libera su Commons, e dunque dell’autore o del fornitore del dato: quanto più un elemento può essere utilizzato, tanto più aumenta l’influenza che quell’elemento ha all’interno della comunità di riferimento, sia essa costituita da semplici appassionati, sia da professionisti, sia avente finalità scientifiche.
Se il primo livello è quindi meramente tecnico – la possibilità di avere uno strumento di visualizzazione e gestione del dato tridimensionale – il secondo livello di impatto è quello proprio dei contenuti caricati su piattaforme Wiki, la diffusione e l’elevata riutilizzabilità.
Grazie a WikiData, inoltre, ogni dato caricato nei progetti Wikimedia può essere esploso nei suoi elementi informativi essenziali, e messo in relazione con altri: i modelli 3D, quindi, vanno ad arricchire le potenzialità dei LOD – linked open data – disponibili in rete, con la possibilità di relazionarsi ad altre banche dati o altri repository online.
Con i modelli 3D, però, si apre un orizzonte del tutto nuovo. Dato che Commons accetta contenuti rilasciati con almeno una licenza CC-BY-SA, tutti i dati possono essere liberamente riutilizzati: il formato .stl è già ottimizzato per la stampa 3D, quindi può essere scaricato e realizzato in breve tempo – normalmente un modello tridimensionale richiede un’ottimizzazione delle geometrie costituenti il modello stesso, che può richiedere anche qualche ora.
Il primo modello caricato in Commons è stato un reperto archeologico, per le motivazioni descritte. Pensiamo però alle ricadute che potrebbe avere il caricamento di protesi mediche, o componenti meccaniche: con relativamente poco impegno e spesa, chiunque potrebbe stampare comodamente, a casa o in un FabLab di quartiere, ciò di cui ha bisogno per la vita di tutti i giorni, o per proprie sperimentazioni.
Aprire i dati, renderli disponibili con licenze aperte su piattaforme libere, significa aumentare il valore di quei dati nel momento presente, e contemporaneamente innescare nuove potenzialità di utilizzo, anche economico.
Avere a disposizione riproduzioni tridimensionali di reperti ha inoltre un chiaro valore formativo: diventa enormemente più facile spiegare concetti e metodologie in scuole o università che abbiano a disposizione una stampante 3D, ad esempio nelle facoltà di archeologia o medicina, dove si può esaminare un cranio di migliaia di anni fa e ricostruirne poi le fattezze.
Nel caso del patrimonio culturale poi, questa innovazione ha una valenza anche di salvaguardia e tutela: tutti abbiamo ancora in mente le immagini della distruzione di Palmira, e di come il 3D sia stato fondamentale per recuperare la memoria di monumenti non più esistenti – grazie di cuore, Bassel! – oppure contribuire al restauro di opere danneggiate.
Ma in che modo questa nuova funzionalità può impattare su un Paese come l’Italia e quali istituzioni nel nostro Paese potrebbero usufruire di questa feature?
In Italia si discute del problema che le licenze aperte pongono circa la replicabilità fotografica dei beni culturali – criticità che ci troviamo ad affrontare anche in uno dei nostri progetti di punta, Wiki Loves Monuments (un quadro succinto della questione si trova qui).
Semplificando il discorso, uno degli argomenti è il possibile danno erariale da mancato introito di cui un ente potrebbe soffrire nel rendere liberamente riproducibile il proprio patrimonio: il Codice dei Beni Culturali stabilisce infatti che – ad accezione del personale utilizzo – vi sia un pagamento per la riproduzione (fotografica).
Caricare su Commons una fotografia di un reperto archeologico preservato in un museo sarebbe quindi, legalmente, non possibile a causa della licenza CC-BY-SA, che non impedisce il riutilizzo con finalità economiche – quindi non esclusivamente personali.
Al di fuori dei confini nazionali, invece, assistiamo ad un’apertura sempre più ampia da parte delle istituzioni: si va da casi citatissimi come il Rijksmuseum di Amsterdam, che ha reso disponibili oltre centomila immagini, sviluppando anche strumenti per favorire consultazione del proprio patrimonio e interfacciamento con altre piattaforme o prodotti software, a sorprese inaspettate come il British Museum di Londra, che ha rilasciato diversi modelli tridimensionali dei propri reperti su Sketchfab, liberamente scaricabili e riproducibili (nonostante Sketchfab non sia però una piattaforma aperta, ma una società che si riserva alcuni diritti di sfruttamento dei contenuti).
In Italia sono però stati caricati su piattaforme elementi tridimensionali relativi al patrimonio culturale, tecnicamente in apparente contraddizione con il principio di cui sopra. Come per le fotografie, infatti, esistono ancora delle zone grigie che l’attuale legislazione non riesce a dirimere in maniera univoca e chiara.
Al momento, la limitazione tecnica dell’estensione 3D lanciata da Wikimedia Foundation, in cui sono gestite e visualizzate le sole geometrie del modello e non la texture, la “pelle” colorata che le riveste, potrebbe essere interpretata come una degradazione qualitativa del dato e favorire un caricamento da parte delle istituzioni, così come la deprecata compressione delle fotografie al fine di diminuirne la risoluzione spesso in passato ha costituito l’unica via per ottenere la liberazione di contenuti online.
Si può immaginare in prospettiva lo sviluppo di un vero e proprio artigianato digitale che abbia il patrimonio culturale come fulcro catalizzante: sarà quindi interessante seguire i prossimi passi della questione riproducibilità e vederla sfondare le due dimensioni della fotografia passando sul piano del 3D con le possibilità che quest’ultimo offre, sia nel campo dei beni culturali, sia nel più ampio panorama della produzione e fruizione culturale.
Sarà l’ultimo tassello di un lungo discorso iniziato nel lontano 1936, con il profetico L’oeuvre d’art à l’époque de sa reproduction mécanisée di Walter Benjamin.

Saverio Giulio Malatesta
Socio Wikimedia Italia e responsabile del laboratorio Archeo&Arte3D Lab Sapienza

Nell’immagine: Dettaglio del modello in 3D di un tempio realizzato dal progetto  #NEWPALMYRA e presentato a Wikimania 2017. Di Di Chris Koerner, CC BY-SA 2.0, via Wikimedia Commons